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Annibale Ranucci, un europeista dell'800 che scriveva a Napoleone III

Editoriale – Gli sparanisani illustri, tra passato e futuro
23/3/2007 22:18

E’ con grande piacere che presentiamo ai nostri lettori un nuovo spazio dedicato a Sparanise ed in maniera particolare agli sparanisani illustri che, nei secoli, hanno contribuito con il loro impegno, a rendere grande la storia della nostra piccola città. Siamo sicuri di fare cosa gradita e di rendere un ulteriore servizio destinato soprattutto alle nuove generazioni che potranno cosi conoscere da vicino quei personaggi di Sparanise che si sono particolarmente distinti nei più svariati settori della vita pubblica.
Il viaggio nel tempo inizia con l’omaggio a quello che probabilmente è da considerare il nostro più illustre concittadino: il poeta, filosofo, letterato e senatore del Regno Annibale Ranucci. Nato a Sparanise nel 1809 Annibale Ranucci, con la sua opera, segnò profondamente la storia del 19° secolo fino al 1877, anno in cui si spense nella sua splendida dimora ubicata nella piazzetta che ancora oggi porta il suo nome. Per rendersi conto della grandezza di quest’uomo è sufficiente dare un’occhiata anche alla suntuosa cappella di famiglia, situata nella parte vecchia del cimitero di Sparanise, dove riposano le sue spoglie. A distanza di quasi due secoli la si può ancora considerare come il monumento funerario architettonicamente più bello, esistente sul nostro territorio comunale. Per capire meglio la levatura di Annibale Ranucci può essere sufficiente citare due tappe della sua grandiosa esistenza. La prima è la lettera che il nostro concittadino scrisse a Napoleone III invitandolo ad adoperarsi per l’unità delle Nazioni Europee… La seconda è la sua opera letteraria più importante: il poema epico “La Redenzione”. Ma la particolare circostanza odierna, che cade nel 50esimo anniversario dei trattati europei di Roma, ci porta a fare particolare attenzione sulla incredibile attualità del pensiero di quest’uomo che visse nel 19esimo secolo, in una Italia non ancora nazione, attraversata dai moti risorgimentali, dall’età napoleonica e dagli anni della Restaurazione. Per meglio far comprendere il pensiero di Ranucci riportiamo di seguito un passaggio tratto dal secondo numero de: I Quaderni della Pro Loco, interessante volumetto scritto da Bruno Ranucci nel 1989. Parigi: la sera del 14 gennaio 1858 mentre la carrozza imperiale di Napoleone III transitava in via Le Pelletier diretta all’Opera, furono lanciate tre bombe: l’imperatore e la moglie Eugenia rimasero incolumi, ma sul terreno giacquero 8 morti e 150 feriti. L’autore del terribile attentato era Felice Orsini, patriota italiano, già mazziniano, critico acceso verso Napoleone III che riteneva colpevole di arrestare il progresso dei popoli dell’Europa e di sorreggere l’assetto politico europeo dell’epoca basato sulla forza e sul dispotismo. La storia ha data ampio risalto all’autore di questa impresa clamorosa che impressionò l’opinione pubblica mondiale tanto da portarlo alla ribalta del mondo politico. Poca attenzione, invece, la storia ha riservato ad un altro personaggio, appunto Annibale Ranucci, autore di un gesto meno eclatante, ma crediamo, politicamente non meno importante: un appello proprio a Napoleone III che Ranucci collocava «a capo del secolo» e vedeva «imperatore cristiano». E’ all’uomo del momento che lo sparanisano indirizza una lettera (edita nel 1861): «Aspirazioni cristiane sottomesse alla maestà imperiale di Napoleone III» per spronarlo a mettersi a capo di un Europa unita nel nome di Cristo e sotto una bandiera evangelica. Scrive in proposito: “Sono due i mezzi che vi si offrono: il primo è quello di un nuovo codice internazionale, modellato sul vangelo che è il codice della credenza di tutto il mondo incivilito; il secondo è quello della istituzione di un arbitrato europeo. Si dovrebbe con quello rinnovare il patto fondamentale de’popoli, surrogando alla forza la giustizia; si dovrebbe con questo garantire l’esercizio di una tale giustizia nel piccolo e nel grande, considerati indistintamente. Varrebbe l’uno a stabilire la pace sulla terra: varrebbe l’altro a mantenervela. Resterebbero cosi evangelizzate le nazioni e si vedrebbe da esse confessato la prima volta Gesù Cristo (…) Favorevole ad un generale disarmo:(…) Che cosa è l’Europa armata? E’ lo stato permanente di guerra è l’incubo sociale, è la confessione de’nostri disordini estremi (…). L’Europa armata importa che i succhi nutritivi delle nazioni che la compongono, debbono alimentare principalmente piante parassite, quali riescono gli eserciti permanenti (…) Invita le nazioni a farsi carico di più gravi problemi: il commercio, la finanza, il debito pubblico, ricordando il vaticino di Federico II: (…) mercé il quale l’Europa sarebbe stata di chi avesse scampato l’ultimo scellino per comprarla.(…) Sicché quali altre risorse rimangono, per sottrarsi le nazioni europee da una rovina immancabile, se non quelle di trasformare la caserma in officina del commercio e le armi in utensili industriali? (…). Come non leggere in questo accorato appello un profetico riferimento alle parole pronunciate circa 130 anni dopo da Sandro Pertini, compianto ex Presidente della Repubblica italiana: «Svuotate gli arsenali e riempite i granai». Altrettanto incredibile è la coincidenza con i contenuti del discorso che oggi, per le celebrazioni dei 50 anni dei Trattati di Roma, il presidente del Consiglio dei ministri, Romano Prodi, ha tenuto in Senato per rendere noto il suo pensiero in merito all'importanza che assume il concetto di Europa e di Unione europea. «È per me un enorme piacere essere qui oggi. Intervenire alle celebrazioni dell’Europa della partecipazione democratica. In questi ultimi mesi, insieme ai nostri amici tedeschi, abbiamo molto lavorato per far ripartire il processo europeo. Per sancire solennemente la fine del lutto e della pausa di riflessione. Ed è con questo spirito che ci prepariamo ad adottare la dichiarazione di Berlino dopo domani nel corso del vertice che vede riuniti i Capi di Governo dei Ventisette», ha esordito Prodi. «Noi vogliamo un’Europa forte, efficiente, adatta ad affrontare le sfide globali - ha continuato il capo del Governo -. Perché di fronte al mondo che cambia l’Europa non è più una scelta ma una necessità, un imperativo. Abbiamo voluto un’Europa allargata, capace di riunificare il continente. Un aggregato che oggi rappresenta il più grande spazio al mondo di pace, democrazia e benessere. Ora dobbiamo farla funzionare. Per questo, nel celebrare i suoi primi 50 anni di vita, dobbiamo impegnarci solennemente per il futuro. Questo per noi vuol dire far ripartire il processo europeo sul serio. E farlo ripartire dal testo adottato qui a Roma nell’ottobre del 2004 e sottoscritto dai 25 stati membri. Frutto di un lavoro negoziale durissimo la cui validità è stata riconosciuta dai 18 paesi che lo hanno già ratificato». «Voglio dirlo con grande chiarezza: per noi terminare il processo di rilancio dell’Unione entro il 2009 rappresenta un’esigenza irrinunciabile. Sarebbe impensabile votare per le prossime elezioni europee senza aver prima costruito un quadro istituzionale chiaro e funzionale. I cittadini non lo capirebbero, non ci capirebbero. Oltre a quello temporale, vi sono altri due elementi che occorre sempre tenere a mente parlando di rilancio dell’Europa: il primo è rappresentato dai giovani europei. Le generazioni chiamate a completare il progetto europeo. Rilanciare l’Europa vuol dire soprattutto ampliare gli spazi della gioventù europea, potenziare quei programmi, come l’Erasmus che sono giustamente considerati tra i grandi successi dell’integrazione. Il secondo elemento è di tipo metodologico: ed è rappresentato da quel processo virtuoso che ci ha sin qui consentito di conciliare le esigenze nazionali di ciascuno di noi con le ambizioni di un grande progetto europeo. Sto parlando del metodo comunitario: la vera, grande sfida di questi decenni. Averla vinta ci consente di guardare al futuro con speranza», un altro passaggio dell'intervento di Prodi. L’unica sostanziale differenza tra i due discorsi sta nel fatto che ciò che oggi, nel 2007, dice Prodi, il nostro Ranucci lo scriveva a Napoleone III nel 1880… Ilario Capanna
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