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Il piano magico di Ryuichi Sakamoto dopo 9 anni di nuovo in Italia

Domani concerto all'Auditorium Parco della Musica di Roma
27/10/2009 19:45

Roma - Fare informazione significa anche poter condividere con il resto del mondo la propria cultura, il way of life e perciò anche i gusti musicali. Personalmente trovo assolutamente adorabile la musica di un artista giapponese che ai più dirà poco ma che per gli addetti ai lavori è un vero e proprio mito vivente. Si tratta di Ryuichi Sakamoto che in questi giorni è in Italia per presentare un nuovo album e un nuovo tour che, a oltre nove anni dalle ultime apparizioni sul nostro suolo (luglio 2000) lo vede esibirsi da solo sul palco con due pianoforti (prima data stasera al Teatro Valli di Reggio Emilia, decima e ultima agli Arcimboldi di Milano il 5 novembre). E’ disponibile, cortese, rilassato e scherzoso ma la gentile e volonterosa ragazza giapponese che fa da interprete si perde nella traduzione in italiano metà dei contenuti e dei concetti, faticando ad afferrare il senso di alcune domande. Peccato, la complessità del personaggio meritava un approfondimento maggiore. Ma tant’è, Sakamoto è il primo a fare professione di modestia e di understatement. Sul palco suonerà in duetto virtuale con se stesso, un pianoforte acustico e uno preprogrammato elettronicamente, “per rendere meglio la complessità e le sfumature di certe composizioni. La cosa migliore sarebbe stata avere a disposizione un altro Sakamoto, purtroppo la tecnologia non me lo permette ancora. Farmi accompagnare da un virtuoso dello strumento non mi sembrava il caso. Mi sarei sentito in imbarazzo, io non sono un pianista ma un musicista-compositore”. Chi non avrà occasione di vederlo in carne e ossa (il promoter International Music and Arts assicura che le date sono quasi sold out) ha una scappatoia: i concerti che Sakamoto ha tenuto recentemente in Giappone, e la prima tranche di quelli europei, sono scaricabili a pagamento da iTunes a meno di 24 ore dall’esecuzione. “Ma in Italia, Francia e Spagna”, spiega, “questo non sarà putroppo possibile. Le connessioni a banda larga sono ancora troppo lente e poi la mia casa discografica, la Decca, non vuole”.
Dal vivo il maestro giapponese proporrà estratti dalle sue celebri e premiatissime colonne sonore (“Merry Christmas mr. Lawrence”, “L’ultimo imperatore”, “The sheltering sky” alias “Il tè del deserto”), che in versione per piano solo formano l’ossatura del nuovo disco da oggi nei negozi, “Playing the piano”, disponibile in deluxe edition in accoppiata a un altro album, il più sperimentale “Out of noise”, finora uscito soltanto sul mercato giapponese. Ma ecco l’altra sorpresa, a dispetto degli Oscar, dei Grammy e dei Golden Globe Ryuichi non si sente neppure un compositore di soundtracks: “Se lo fossi, le mie musiche vivrebbero in simbiosi con le immagini, non di vita propria. Guardo i film prima di comporre, ovviamente, ma poi l’ispirazione prende strade personali. Per ‘Il piccolo Buddha’, Bernardo Bertolucci mi chiese espressamente una musica che evocasse il concetto della reincarnazione, mi sono informato leggendo molti libri ma alla fine ho seguito come sempre il mio intuito e il mio istinto. Il mio rapporto con i registi? In genere sono persone egoiste ed egocentriche, ma con Bertolucci è diverso. Per me è un padre, un fratello, un amico. Gli devo molto. Mi piace il cinema italiano: Fellini, certo, ma prima di conoscere l’arte di Bernardo il mio preferito in assoluto era Pasolini”. Con “Il piccolo Buddha”, Bertolucci lo ha anche introdotto alla realtà del Tibet, che oggi gli sta particolarmente a cuore: tanto da ospitare, sulla home page del suo sito Internet, un disegno che inneggia alla liberazione del paese, e a una libera Cina. “Le due cose non possono andare separatamente. Dopo essere stato in Tibet ho incontrato tre volte il Dalai Lama e me ne sono innamorato. Dovevo fare qualcosa per quella terra”. Artista consapevole dei problemi del suo tempo, Sakamoto è stato un pioniere dei concerti a impatto zero, attento (anche in questo nuovo tour) a compensare le emissioni di anidride carbonica con la coltivazione di nuove foreste, grazie a un’organizzazione, moreTrees, da lui fondata nel 2007. Oggi coltiva anche una vocazione da divulgatore enciclopedico: “Sì, con la mia etichetta Commmons (con tre m), ho inaugurato un progetto che ho battezzato Schola, un vero dizionario, un’enciclopedia della musica dedicata per metà alla musica occidentale e per metà a quella proveniente dalle altre parti del mondo. Trenta volumi in tutto, che vorrei fare uscire al ritmo di tre all’anno: i primi sono stati dedicati a Bach, alla storia del jazz e a Debussy, i prossimi a Ravel e al rhythm&blues”. E alla conservazione del suo patrimonio musicale non ci pensa?: “Cerco di fare in modo che i miei dischi si trovino ovunque. Ma quando, girando il mondo, vado nei negozi vedo delle compilation di cui non conoscevo l’esistenza, con foto di copertina che non avevo mai visto. Non programmo il futuro, l’unica cosa che so è che non mi piace ripetere il mio passato. E non scrivo mai spartiti, sono mancino e mi stancherei troppo! Certo, è un problema: quando morirò le mie composizioni svaniranno. Sono tutte qui, dentro la mia testa”. Fonte intervista: Rockol.it
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