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Passeggiate calene: con Peppino Marchione da Cales a Ciambrisco

Prosegue il viaggio nella storia di Sparanise
2/7/2011 15:22

Riceviamo e pubblichiamo - Come giustamente fa notare Giuseppe Carcaiso nel suo volumetto “Gli Sparanisani”, la nostra cittadina ha conosciuto un lungo periodo temporale durante il quale hanno vissuto ed operato in vario modo numerose personalità, alcune delle quali, per spessore e brillantezza culturale, hanno superato i limiti locali e perfino regionali. Questa “epoca d’oro” di Sparanise va grosso modo dalla metà del XVIII secolo ai primi decenni del XX; infatti, in un arco di tempo di circa 200 anni si sono andate intrecciando le vicende e le opere di una quarantina di nostri concittadini che meriterebbero ben più considerazione di quanta gliene sia stata data finora.
Questo preambolo alle mie “Passeggiate Calene” vuole essere innanzitutto un attestato di riconoscenza ed amicizia per Peppino Carcaiso, le cui pubblicazioni su Calvi e Sparanise colpiscono il cuore e la mente per l’amore e il rigore storico con cui sono state realizzate. Al tempo stesso, vuole essere anche un invito a conoscere meglio la storia e le tradizioni del nostro paese e dell’agro caleno. Nel compiere queste passeggiate immaginarie ho eletto a mia guida l’abate Mattia Zona, nato a Sparanise il 17 aprile del 1753. Egli fu il primo e più appassionato studioso della terra calena, lasciandoci descrizioni e notizie che, seppure spesso da prendere con cautela, sono tuttavia preziose. Da dove partire, dunque, se non da Calvi Vecchia? E così, seguendo le orme dell’abate Zona, che aveva studiato nel Seminario che si trova tra la Casilina e l’antica Cattedrale, anche io mi incammino verso il luogo dell’antica città di Cales, dove è cominciata la nostra storia di caleni e sparanisani. Giunto all’incrocio tra l’antico cardine e il decumano della città romana, piego a destra, percorrendo il tratto di via Latina che entrava nel centro abitato provenendo da Torricelle. Dopo un centinaio di metri mi ritrovo sotto il ponte dell’autostrada, dove ancora si scorgono i resti dell’antica chiesa di San Casto, costruita su una struttura romana, forse una palestra. E’ una chiesetta paleocristiana, forse del IV-V secolo d.C. di cui, quando all’inizio degli anni ’60 il professor Johannowsky vi eseguì un saggio di scavo, scrisse: “sono stati rinvenuti gli avanzi di una camera sepolcrale absidata con strutture in laterizio ed opera listata. Nell’abside, sotto il pavimento, erano quattro sarcofagi..”. Fu questa la prima sede vescovile di Cales, soppiantata dall’XI secolo dalla Cattedrale, ma restò luogo di culto fino al XVIII secolo almeno, tanto è vero che qui conveniva il popolo durante i festeggiamenti della Fiera di San Casto. Riprendo la mia passeggiata lungo una strada che gira intorno alla città per andare a innestarsi sulla continuazione di via Mazzeo. L’abate Zona riteneva che questa fosse la Via Stellatina, che uscendo dalla porta omonima, menava appunto al Campo Stellate o Stelllatino, e così la descrive: “Quella via, da dirsi pur anche Stellatina, che dalla masseria così detta di D. Ambrogio, dove si deve credere che fosse questa porta, direttamente camminando per San Simeone, per la Masseria di Mazzeo, per Fongiello, per la Cupa, per i Pioppi di Monsignore, per la Lamia e per Ciambrisco, andava al Ponte campano e di qui al Campo Stellate ed a Sinuessa”. La descrizione dell’abate è esatta, precisa e, tra l’altro, interessante per diversi aspetti, ma oggi sappiamo che non si tratta della Via Stellatina ma della Via Falerna, che attraversando diagonalmente l’agro Caleno, si immetteva in quello Falerno incrociando l’Appia antica presso il Ponte Campano e proseguendo fino alla foce del fiume Savone. Io mi limiterò, tuttavia, a seguirla fino a Ciambrisco, senza attraversare il Savone presso questa località. Lasciatami alle spalle Cales, dopo qualche centinaio di metri vedo un rudere sulla sinistra della strada: è la chiesetta di San Simeone, realizzata in un colombario romano ossia un edificio funerario dove, all’interno di piccole nicchie, venivano deposte le urne cinerarie. Si scorgono ancora labili tracce di affreschi altomedievali dove si intravvedono volti di santi sconosciuti e, mentre mi guardo intorno, mi sovviene di quello che mi raccontava l’arciprete don Pietro Palumbo quando da ragazzo frequentavo la parrocchia ed ascoltavo i racconti delle sue ricerche. Tra le cose che don Pietro mi narrava forse la storia che più di tutte ha lasciato un segno nei miei ricordi è quella degli scheletri senza testa ritrovati attorno a questa chiesetta dal proprietario del terreno. Secondo l’arciprete Palumbo si trattava probabilmente di martiri, tenuto conto anche che non lontano da questo luogo, sull’altra riva del Rio dei Lanzi, c’era una grande grotta affrescata con scene di soggetto religioso: la grotta delle Formelle. Il buon arciprete congetturava, sulla base di quanto riportato da Mattia Zona, il quale aveva citato una “Ecclesia Omnium Sanctorum de loco sanguinario”, che si trattasse proprio della grotta delle Formelle. Qui, infatti, una volta si leggeva una lunga iscrizione riportante nomi di santi, la quale terminava con “et omnium Sanctorum”. In sostanza, don Pietro riteneva che quello fosse il loco sanguinario, ossia il luogo delle esecuzioni capitali. I resti decapitati sarebbero poi stati trasportati a S. Simeone. Poco più avanti di San Simeone, all’incrocio che delimita l’attuale confine comunale tra Calvi e Sparanise, mi sovviene un altro ricordo (forse suggeritomi dalla mia “guida”). Guardando a destra si scorge ciò che rimane di una collinetta chiamata il Monticello, letteralmente mangiata negli anni scorsi da ruspe che ne avevano fatto una specie di cava. Ebbene, qui convenivano in passato quelli di Sparanise da una parte e quelli degli altri casali di Calvi dall’altra quando dovevano discutere di questioni cittadine, perché questa collinetta si trovava proprio a metà tra quei centri abitati e non a caso si trova oggi sul confine tra i nostri due comuni. Proseguo lungo questo lungo rettilineo, superando masseria Mazzeo e giungo alla periferia di Sparanise. Ricordo ancora che da piccolo, quando andavo nelle campagne vicino Cales partendo da poco oltre l’attuale incrocio di via de Gasperi, percorrevo una strada infossata e così era pure il tratto di via Catena (continuazione di via Mazzeo) che va dal primo al secondo ponticello sotto la ferrovia. Forse era questa la Cupa di cui parla Zona. Oltrepassata via Posta Vecchia proseguo lungo l’antica via Falerna, che fino a qualche anno fa era percorribile fino all’incrocio con la statale Appia. In verità, una decina di anni addietro sono riuscito con la bici a proseguire anche oltre la statale per qualche chilometro ancora, prima di ritrovarmi in mezzo a campi coltivati che avevano in più punti cancellato l’antico percorso. Oggigiorno bisogna arrivare almeno fino alla Scarrupata per poter riprendere questo tracciato ed arrivare a Ciamprisco. E, a proposito della Scarrupata, vale la pena di ricordare che questa località sul Savone presenta diverse cose interessanti. Innanzitutto, un antico mulino ad acqua, e poi numerose tombe scavate nel banco tufaceo a ridosso del fiume, probabilmente di età arcaica. Da qui a Ciamprisco il tratto di strada da fare è piuttosto breve e mi affretto a raggiungere questa piccola frazione di Francolise, dove sosto davanti a una deliziosa chiesetta altomedievale dedicata a S. Andrea Apostolo. Vi avverto, gentili lettori, che la sosta a Ciamprisco sarà un po’ lunga, perché questa piccola località è davvero un luogo che conserva tracce importanti e, talora misteriose, di un antico passato.
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