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Con Peppino Marchione tra i misteri di Ciamprisco

Nuovo appuntamento con le Passeggiate Calene
10/7/2011 10:27

Riceviamo e pubblichiamo - Quando, circa una dozzina di anni addietro, cominciai a frequentare questo posto e i suoi dintorni, rimasi stupito dal fatto che un pugno di abitazioni si raccogliesse intorno ad una chiesetta di fattura mirabile, dove tra materiale di spoglio di età romana e decorazioni medievali, c’erano davvero diverse cose parecchio intriganti. E infatti più tardi ho scoperto che diversi studiosi erano rimasti colpiti dalla chiesa, ma alla fine poco si era scritto su di essa e, ancora meno, poco si era fatto per valorizzarla. Gli amici che abitavano a Ciamprisco mi raccontavano che sotto il pavimento c’era un ambiente che era spesso allagato. Qualcuno mi parlava di colonne romane ritrovate lì vicino; e poco lontano dal piccolo centro, sul Savone, c’era stato un antico mulino chiamato il Molino dei Monaci. Mi ero interessato a Ciamprisco perché, nella mia ricerca del percorso dell’Appia antica, ritenevo che questa via consolare romana passasse nei paraggi e la scoperta di un basolo di epoca romana mi aveva illuso in tal senso. Avrei scoperto anni dopo che comunque, anche se l’Appia non passava da qui, questo era stato un importante crocicchio di antichi tracciati. Tanto per cominciare, la via Falerna proveniente da Cales attraversava il Savone da queste parti, andando a incrociare, tra l’altro, un altro tracciato che attraversava il cuore dell’ager Falernus, e che terminava nei pressi del suo centro amministrativo – Forum Popilii – i cui resti si trovavano nella località Civitarotta, poco distante da Falciano ed a soli 2 chilometri da Carinola. Sempre a Ciamprisco giungeva un altro antico percorso proveniente da Teano (l’antica Teanum Sidicinum) e che forse proseguiva fino all’Appia antica all’altezza di un altro antico abitato, la colonia sillana di Urbana, tra Sant’Aniello e La Barrata, a sud di S. Andrea del Pizzone. Il permanere di una parte almeno di questi tracciati anche nel medioevo potrebbe forse spiegare perché fosse stata edificata la chiesetta. Restava il mistero del materiale di reimpiego, mistero non ancora spiegato, perché di sicuro proviene da un imponente monumento romano (probabilmente funerario), ma non sappiamo se il monumento si trovasse lì oppure, ad esempio, sull’Appia. Ma in cosa consistono questi materiali di spoglio che si vedono alla base dell’edificio sacro? Quelli lungo la facciata sono blocchi di pietra recanti parte di una scritta, il cui rigo inferiore non era visibile fino a qualche anno fa, quando vennero rimossi i basoli davanti alla chiesa. Ma il mio amico abate Zona l’aveva trascritta e quindi sapevo già che il rigo che non si leggeva recava il nome VINICIA, e poiché la gens dei Vinici era una delle più importanti famiglie di Cales, ecco un altro collegamento con la città, ausone. Un altro blocco si trova alla base della parete esterna di sinistra e raffigura una Gorgone, su cui ritorneremo più avanti.
Altro mistero: lungo la parte eterna dell’abside, appena sotto il tetto, si trova una serie di rappresentazioni di animali e figure umane incise nelle pietre di tufo di cui è costituito gran parte dell’edificio. Si sono fatte diverse ipotesi sul loro significato, ma nessuna finora sembra soddisfacente. Certo queste raffigurazioni sono affascinanti, per quanto piuttosto rozze, e la sequenza appare piuttosto enigmatica: cani che si mordono la coda, un caprone con un serpente, una pistrice (un mostro marino con la coda di serpente), un grifone accanto a teste umane, motivi floreali. Insomma, un bel rebus! Ma nel corso degli anni i misteri intorno a questa chiesetta sono aumentati. Durante i lavori di restauro eseguiti qualche tempo fa ebbi la possibilità di visitare il cantiere e, in particolare, di scendere nell’ambiente sottostante il pavimento. Mentre giravo intorno lo sguardo, cercando di abituarmi alla scarsa luminosità, fui colpito dal vedere tutt’intorno ai muri una serie di strani sedili con un buco centrale. In verità la cosa non mi stupì, poiché avevo già visto questi sedili-scolatoio per i morti nelle catacombe che avevo visitato a Napoli. Questa antica pratica, comune a tutto il meridione d’Italia, rimase in vita fino al XIX secolo e oltre, quando per motivi igienici fu abbandonata. Ho scoperto in seguito che essa era probabilmente connessa alla cosiddetta “doppia sepoltura” caratterizzata da una prima sepoltura ed una successiva riesumazione del morto che veniva “posto a sedere” su questi sedili-scolatoio, dove avveniva l’eliminazione dei liquidi prodotti dalla putrefazione. Infine, ottenuta una sufficiente scarnificazione, quello che ormai era sostanzialmente uno scheletro era definitivamente inumato, oppure si lasciava in esposizione il cranio mentre il resto dello scheletro veniva deposto in un ossario. Sempre nel corso di quel sopralluogo, mi imbattei in una strana scritta venuta alla luce al di sotto del piano della pavimentazione. Il frammento rimasto era costituito da una serie di parole abbreviate disposte su due righi, il primo in rosso e il secondo in nero. Per giunta, la scritta era capovolta! Cosa pensare? Una recente pubblicazione su Francolise ospita un interessante articolo di una studiosa che arriva ad ipotizzare un particolare uso dell’ambiente ipogeo antecedente alla costruzione della chiesa. Secondo questa ardita ipotesi l’ambiente potrebbe avere ospitato un mitreo, ossia un luogo dove si venerava nei primi secoli dell’impero romano il dio Mitra. Questi “misteri” mi hanno stimolato ad approfondire le mie ricerche, aiutato dal prezioso parere di un collega, oltre che ottimo storico, originario di Sessa Aurunca. Quando alcuni anni fa gli mostrai la foto della scritta, mi rispose che probabilmente si trattava di una formula abbreviata dove alcune parole in particolare potevano riferirsi a “fratres” e “preces”. Collegando questi indizi alla presenza dei sedili-scolatoio, che solitamente si trovavano in ipogei ecclesiastici dove venivano posti “a scolare” religiosi o membri di confraternite ( da qui il detto dialettale “puozz’ sculà” inteso come vera e propria maledizione, ossia “che tu possa morire”), provo a proporre un’ipotesi alternativa. Ritengo, in sostanza, che la scritta ( i cui caratteri per forma richiamano al periodo medievale) si potrebbe mettere in relazione alla presenza dei sedili-scolatoio, dove forse venivano posti i fratres, ossia dei monaci, per i quali si chiedeva di recitare preces, ossia preghiere. Comunque, mi sembra logico pensare che ci possa essere un rapporto tra la scritta e le nicchie con i sedili-scolatoio. Tra l’altro, a poche centinaia di metri c’era il cosiddetto Molino dei Monaci, sul Savone, e dunque non escluderei che l’ambiente sottostante alla chiesa di Ciamprisco abbia ospitato i resti di frati che vivevano ed operavano dove c’era l’antico mulino. E’ noto, infatti, che per molti secoli i mulini sono stati gestiti da ecclesiastici o da monaci di grandi abbazie. A rafforzare tale ipotesi c’è anche un altro elemento: sulla parete sinistra della chiesa è visibile una meridiana, e sappiamo che questi orologi solari si trovano spesso scolpiti sulle pareti di chiese benedettine. Questa mia ipotesi non pretende, tuttavia, di risolvere il mistero dell’enigmatica scritta e degli scolatoi; senza dubbio saranno necessarie ulteriori ricerche. Ma, per tornare all’ipotesi del mitreo, evidentemente in relazione alla possibilità che il materiale di spoglio di età romana reimpiegato nella chiesa fosse quel che restava di un edificio monumentale preesistente di età romana, forse per un certo periodo utilizzato quale luogo di culto mitraico, vorrei fare alcune considerazioni. E’ pur vero che dai dati finora a disposizione sembrerebbe che la località dove sorge Ciamprisco abbia conosciuto una continuità di vita che risale al periodo preromano addirittura. Sia in età romana che medievale, inoltre, è nei pressi di questo abitato che probabilmente avveniva l’attraversamento del fiume Savone, perciò non va sottovalutata l’importanza di questo centro. Tuttavia, pensare alla presenza di un mitreo mi sembra al momento piuttosto azzardato. In Italia i mitrei si trovano praticamente sempre in un contesto urbano, quindi nella nostra zona ci si aspetterebbe di trovarlo semmai a Cales. E infatti c’era! Qualche anno fa, osservando una cartina riprodotta in un testo sul culto di Mitra che riportava tutti i mitrei conosciuti nell’impero romano, notai che c’era anche Cales. Solo di recente sono riuscito a risalire all’autore della cartina: si tratta probabilmente del più grande studioso di questo culto e, seguendo le sue tracce, ho scoperto che in un testo dove riportava tutte le evidenze (epigrafie, bassorilievi, statuette, ecc..) relative a Mitra si trovano anche due terrecotte ritrovate a Cales. Si tratta di due rilievi che raffigurano la tauroctonia, ossia l’uccisione rituale del toro da parte del dio Mitra. Dunque, almeno questo è sicuro: a Cales si praticava il culto mitraico. Dove fosse, poi, il luogo di questo culto è tutto da scoprire, se mai ci riusciremo. Prima di lasciare Ciamprisco, però, c’è ancora un altro piccolo mistero da risolvere. Ed io ci proverò. Da dove deriva il toponimo Ciamprisco? Se lo sono chiesti diversi studiosi. Uno, ad esempio, aveva ipotizzato che derivasse dal termine latino labrusca/lambrusca che indicava la vite selvatica, da cui il moderno lambrusco. Un’altra ipotesi, più recente ed articolata, sebbene un po’ contorta, parte dalla constatazione che nelle Rationes Decimarum del XIV secolo è riportata per la diocesi di Calvi una chiesa dedicata a S. Andreee de Plumbulisci. Da qui, ossia da Plumbulisci, attraverso un’analisi glottologica, si arriverebbe a Ciamprisco. Ed io che ne penso? Premesso che le mie sono soltanto riflessioni e ipotesi di un modesto dilettante, vorrei provare comunque a dire la mia in proposito. Anche in questo caso devo ringraziare il mio amico sessano per avermi “messo la pulce nell’orecchio”. Mi aveva, infatti, invitato a fare ricerche su una famiglia Aldomoreschi del XIV secolo e sulla famiglia dei Transo. Allora lasciai cadere subito il suggerimento, anche perché non avevo trovato niente di indicativo sugli Aldomoreschi. E poi che c’entravano con Ciamprisco, mi chiedevo? Poche settimane fa, sfogliando un suo libro su “Sessa e il suo territorio tra medioevo ed età moderna”, mi sono imbattuto nella importante famiglia sessana dei Transo. Una nota a piè pagina diceva che tra i possedimenti feudali di questa famiglia nel XV secolo ce n’era uno in territorio di Carinola che si chiamava li Morischi. Mi sono subito ricordato di aver visto su carte del nostro territorio del cinque-seicento il nome di una località a breve distanza dall’Appia, e vicina al Savone, di nome Limorisco. Avevo sempre pensato (e non solo io) che si trattasse di un errore e che Limorisco stesse in realtà per Cimorisco, ossia l’odierna Ciamprisco, ma adesso mi viene da pensare che forse di errore non si trattava. Dunque, ecco la mia proposta. Nel XV secolo in territorio di Carinola (il cui confine con quello di Francolise è segnato dal Savone) c’era il feudo dei Transo li Morischi. Poco dopo (XVI secolo) troviamo nella stessa area il toponimo Limorisco, e pochi anni dopo (fine XVI secolo) quello di Cimorisco che diventa (almeno dal XVIII secolo) Ciambrisco. In definitiva, non mi sembra poi tanto campata in aria come ipotesi! E con questo lasciamo Ciamprisco e torniamo a Calvi Vecchia, dove mi aspetta pazientemente la mia guida per altre passeggiate …
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